Mal di Ventre

L’ultima sala del Museo, inaugurata il 7 giugno 2008, è dedicata ad una delle scoperte subacquee più significative degli ultimi decenni, quella di un relitto di età romana individuato nel 1989 nel braccio di mare compreso tra la costa del Sinis e l’isola di Mal di Ventre. La nave è stata oggetto di numerose campagne di scavo, dal 1989 al 1996, da parte della Soprintendenza Archeologica di Cagliari e Oristano, anche in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso.

Il relitto, adagiato sul fondale ad una profondità di circa 30 m, a 6 miglia dalla costa e poco più di un miglio a sud-est dell’isola, deve la sua straordinaria importanza al carico interamente costituito da lingotti in piombo, unico caso finora documentato per il mondo antico; gli altri ritrovamenti di massae plumbae (lingotti), in numero assai più limitato, si riferiscono infatti a relitti in cui queste facevano parte della merce di accompagno o della dotazione di bordo, ma in nessun caso ne costituivano il carico.
Dello scafo, con dimensioni presunte di m 36 x 12, si conserva la porzione centrale della chiglia, per un’estensione di circa 10 m2, parte che dopo l’affondamento della nave risultò protetta dal carico; ciò che invece è rimasto più sollevato rispetto al fondale, e dunque esposto all’azione del mare, ha subito il progressivo degrado fino a scomparire completamente.

Il carico, posizionato al centro della nave, è costituito da circa mille lingotti, tutti di sezione trapezoidale, con il dorso superiore leggermente bombato (cm 44-46 x 8,5-9; h. cm 8,5-10) e del peso di circa 33 kg. Molti di questi si trovavano ancora allineati e impilati nella posizione originaria, in quanto l’affondamento della nave avvenne lentamente e senza il rovesciamento del carico. Essi sono dotati di cartiglio epigrafico che riporta il nome dei produttori. La maggior parte dei lingotti (oltre 700 esemplari) è prodotta da Caio e Marco della famiglia dei Pontilieni, sia nella forma prettamente giuridica della società, che nella semplice associazione dei due nomi. In qualche caso ai bolli dei Pontilieni è aggiunto una o più volte, in maniera irregolare, sul dorso, un altro marchio impresso a freddo con punzone rettangolare: PILIP; questo nome, che può integrarsi in P(h)ilip(pus), si riferisce ad un servus dei Pontilieni, ricordato come tale da un’iscrizione su marmo di Cartagena, come membro di un collegium della città spagnola, insieme a liberi e a liberti.
Oltre ai lingotti con marchio dei Pontilieni, il relitto ha restituito numerosi esemplari riferibili ad altri produttori: Quinto Appio, Lucio Carulio Hispalo, Caio Utio, Cneo Atellio, Planio Russino, Lucio Pilon e Marco o Lucio Apinario.

Presso il relitto furono recuperati anche quattro ceppi di ancora e due contromarre in piombo, tre ancorotti, due scandagli, alcune macine in basalto, un discreto numero di anfore da trasporto del tipo Dressel 1b, per lo più frammentarie, scarsa ceramica d’uso, parti di vasi in bronzo, una lucerna, alcuni coperchi in ceramica, una daga in ferro, circa duecento proiettili in piombo e una moneta. Una grande ancora in ferro posizionata a poppa è stata lasciata in posto.
Molto abbondanti sono risultati i chiodi, in parte riferiti allo scafo, altri interpretati come riserva di bordo per eventuali riparazioni. Si è recuperato anche un tubo in piombo, ormai non in connessione, che è stato attribuito dubitativamente alla pompa di sentina.

Dello scafo si è preservato solo il settore centrale, perché protetto dal carico dei lingotti. La chiglia, sulla quale erano infissi i lunghi chiodi, le assi e le ordinate della porzione destra della carena erano tutto ciò che restava della nave, insieme al rivestimento in piombo che inscatolava la chiglia e rivestiva l’opera viva e ai grandi gusci di “denti di cane”, che si erano fissati all’esterno dell’imbarcazione durante le soste nei porti.
In collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e con l’Istituto di Geocronologia e Geochimica Isotopica del CNR di Pisa sono state effettuate numerose analisi sui lingotti, i cui risultati sono stati divulgati in varie mostre in Europa e in America, oltre che in contributi scientifici a stampa. Le analisi effettuate hanno dimostrato l’eccezionale purezza del metallo, proveniente dalle aree minerarie della Sierra di Cartagena, in Spagna, area da cui verosimilmente proveniva la nave; rimane invece dubbia la destinazione finale della stessa.
Dal punto di vista cronologico, l’esame complessivo dei materiali recuperati ha consentito di datare l’affondamento tra l’89 e la metà del I sec. a.C.